“Troppe ragazze e troppi ragazzi non svolgono oggi percorsi di orientamento scolastico efficienti ed efficaci. Occorre immaginare risposte concrete per i Neet, quei giovani che non studiano e non lavorano, e ricreare luoghi in cui le persone possano essere accompagnate, aiutate e sostenute davanti alle sfide che la contemporaneità porta con sé”
Silvio Magliano, torinese, classe 1980 e una laurea in Giurisprudenza, è consulente nel campo della formazione professionale. Attualmente è Presidente del Gruppo Consiliare dei Moderati in Consiglio Regionale del Piemonte, dopo essere stato Consigliere in Circoscrizione 3 a Torino, per due mandati Consigliere in Consiglio Comunale di Torino (del quale è stato anche Vice Presidente Vicario) e Consigliere del Consiglio della Città Metropolitana di Torino. È stato Presidente del Centro Servizi per il Volontariato VSSP e Vice Presidente Nazionale di CSVnet, la rete dei Centri di Servizio per il Volontariato a livello nazionale. Un impegno sostenuto dall’idea che “bisogna immaginare servizi che tengano conto del contesto familiare, lavorativo e sociale delle cittadine e dei cittadini ai quali ci rivolgiamo, conoscerne il carico familiare e i pregressi personali per poter capire fino in fondo le cause delle loro fatiche e delle loro difficoltà”.
Cosa significa per lei la parola inclusione?
Inclusione oggi ha per me molti significati. L’inclusione non è soltanto un obiettivo da raggiungere affinché il maggior numero di cittadine e di cittadini siano inseriti in un contesto di reale sostegno e di concreto aiuto e affinché non perdano dignità e autonomia: l’inclusione, a mio giudizio, deve essere un modo nuovo con cui guardiamo alla realtà e con cui misuriamo e attutiamo le politiche che introduciamo per raggiungerla. Vista la condizione sociale e demografica della nostra città e della nostra regione, dobbiamo ripensare al concetto di inclusione tenendo conto di molti più fattori rispetto al passato.
Visti dal suo osservatorio di Amministratore Pubblico quali sono (oggi) i nuovi bisogni di inclusione a cui la comunità di Torino (e non solo) deve rispondere?
Mai come oggi è necessario affrontare il tema della dispersione scolastica, troppe ragazze e troppi ragazzi non svolgono percorsi di orientamento scolastico efficienti ed efficaci, con il risultato di un precoce abbandono degli studi. Occorre immaginare risposte concrete per i Neet, quei giovani che non studiano e non lavorano; non si può non tenere conto della velocità con la quale cambia il mercato del lavoro e di come cambiano le tipologie dei lavori stessi oltre all’emergente necessità di ricreare luoghi in cui le persone possano essere accompagnate, aiutate e sostenute davanti alle sfide che la contemporaneità porta con sé. Siamo di fronte ad una crisi della genitorialità che non va sottovalutata: spesso ci si sofferma con lunghe dissertazioni e dotti trattati sul tipo di vita che conducono le nuove generazioni, sui loro vizi, sui loro costumi e sul loro stile di vita, senza però chiedersi quasi mai quali siano le cause di certe situazioni e qual sia il contesto familiare dal quale provengono: questo è assurdo e irragionevole. Vi sono bisogni che un tempo erano cogenti, come, ad esempio, quello del cibo; oggi, grazie al mondo del volontariato, questa necessità è stata risolta brillantemente, ma vi sono altre frontiere del bisogno che occorre affrontare con intelligenza, creatività e lavoro di rete, ben sapendo che per problemi complessi non esistono mai soluzioni semplici. È necessario tenere conto di tutti i fattori della realtà se si intende veramente strutturare risposte sociali credibili e durature nel tempo.
Cosa serve oggi per combattere fragilità, povertà e incertezze? In che modo una società può essere più coesa e competitiva per combattere le disuguaglianze?
Serve oggi una capacità nuova di leggere i bisogni. Occorre guardare alle persone non solo attraverso la lente parziale dell’urgenza, che rappresenta la fase acuta del bisogno: è necessario piuttosto prendersi carico della persona nella sua totalità. Le fragilità e la povertà vanno approfondite ed è fondamentale capirne l’origine e le cause. Occorre indagare sul contesto familiare e sulle relazioni sociali, presenti o non presenti, della persona stessa per poterla aiutare e sostenere nella globalità dei suoi bisogni e delle sue necessità. La sclerotizzazione dei nostri tempi, la visione individualista di alcuni stili di vita proposti dai mass media e il crescente egoismo, che si è insinuato nella nostra società, rendono tutti più fragili di fronte alle normali fatiche del vivere, così da trovarsi impauriti, disorientati e spersi alle prime difficoltà che la vita pone innanzi. Occorre dunque un approccio comunitario ai bisogni, mettendo in rete le migliori forze delle istituzioni, dei servizi di prossimità e, soprattutto, del volontariato e del privato sociale. Solo coordinando al meglio tutti gli attori in campo si riuscirà ad affrontare le rinnovate sfide del nostro tempo e gli specifici bisogni delle persone.
Qual è oggi e quale sarà in futuro il ruolo del Terzo Settore nel garantire una concreta ed efficace inclusione per i soggetti fragili? E come si pone nella dialettica tra la pubblica amministrazione e il settore privato alla luce dell’evoluzione del welfare anche a livello aziendale?
Il Terzo Settore ha giocato, gioca e giocherà un ruolo decisivo per garantire una concreta, efficace e duratura inclusione per i soggetti fragili poiché al suo interno dispone di una moltitudine di competenze, professionalità e visioni che negli anni ha maturato e che lo rendono imprescindibile per ogni vera politica pubblica che intenda misurarsi realmente con i bisogni individuali e sociali. Certo: occorre che le istituzioni abbiano il coraggio di fidarsi, di affidarsi e di realizzare spazi e ambiti di confronto reali e decisionali ove il Terzo Settore, nelle sue molteplici declinazioni, sia davvero non soltanto considerato e ascoltato, ma riconosciuto in un ruolo decisionale strategico e paritetico con la Pubblica Amministrazione. Da questo punto di vista, il Codice del Terzo Settore fornisce tre strumenti davvero importanti e, a mio giudizio, imprescindibili come la co-programmazione, la co-progettazione e l’amministrazione condivisa. Occorre dunque una politica coraggiosa, lucida e leale che non si trinceri dietro le solite formule legate a bandi e a gare d’appalto, ma che sappia mettere attorno allo stesso tavolo più attori del privato sociale per immaginare insieme a loro progetti, iniziative e servizi capaci di rispondere ai bisogni odierni sempre più complessi e variegati delle nostre cittadine e dei nostri cittadini.