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Rettore del Politecnico di Torino

GUIDO SARACCO

“La filantropia va bene, ma da sola non basta. Occorre migliorare la qualità della vita, il reddito e le opportunità di lavoro delle persone e i servizi nelle periferie delle città attraverso progetti integrati di policy pubblica e tecnologia digitale”

Tutto quello che si fa per la propria città e per la propria comunità fa parte della cosiddetta terza missione delle Università italiane. Non solo formazione e ricerca, dunque, ma anche valorizzazione delle relazioni che si riescono a costruire e della rete sociale che si determina operando sul territorio. L’ANVUR, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, ha dichiarato il Politecnico di Torino la prima tra tutte le università italiane in questo ambito. Guido Saracco, Rettore del Politecnico, racconta come la digitalizzazione delle periferie contribuisca a trasformare questi territori in comunità dove trovare un vero e proprio senso di appartenenza. E come l’obiettivo che tutti dovremmo avere sia quello di riuscire a vincere le tre sfide principali dell’umanità: i cambiamenti climatici, l’inclusione sociale e l’espansione della democrazia come mezzo ideale per governare lo sviluppo soggettivo e collettivo delle comunità.

Dal suo punto di vista quali sono le situazioni sociali che oggi richiedono una particolare attenzione rispetto al rapporto tra inclusione ed esclusione?

Stiamo parlando di un tema decisivo tutt’altro che marginale. Soffriamo l’aumento delle disuguaglianze sociali e questo è un effetto della globalizzazione e di una economia sempre più liberista, definita da taluni turbo-capitalista. Le disuguaglianze sociali nei Paesi come il nostro sono cresciute: anche la borghesia si è impoverita perché la ricchezza rimane sempre di più nelle mani di pochi e spesso viene investita all’estero. Abbiamo quindi un serio problema economico. E abbiamo un problema di integrazione. Per via del crescente numero di poveri nell’Africa sub-sahariana cresce il fenomeno dell’immigrazione economica e climatica, che si somma a quella legata ai conflitti. Qualsiasi forma di inclusione necessita di un investimento, che deve essere diretto soprattutto a favorire uno sviluppo che sia compatibile con l’ambiente e capace di garantire benessere per tutti: sono fortemente convinto, infatti, che senza uno sviluppo in grado creare ricchezza territoriale, non riusciremo mai a risolvere questo problema. Il Politecnico ha da sempre attirato talenti stranieri che qui si formano, ma che si radicano da noi invece di tornare nei Paesi di origine e contribuire al loro sviluppo interno.

La città di Torino come si colloca in questo contesto?

Nella periferia di Torino ci sono dei quartieri dove l’aspettativa di vita è inferiore ad altri, dove la qualità del cibo, dei servizi e della sanità è più bassa. Sono anche i quartieri meno serviti dalla mobilità pubblica. Riqualificare le periferie è la sfida più importante da vincere se vogliamo raggiungere un obiettivo concreto di inclusione. Si tratta di un processo che verrebbe sicuramente velocizzato da forti investimenti nella digitalizzazione. La transizione tecnologica offre infatti servizi e soluzioni capaci di trasformare questi territori in comunità dove ritrovare un vero e proprio senso di appartenenza e solidarietà.
Questo è un ambito in cui umanità e tecnologie devono collaborare: la filantropia va bene ma per essere efficace deve agire all’interno di un grande progetto integrato che vede policy e tecnologia andare insieme e di pari passo, così da fornire servizi di qualità che oggi l’istituzione pubblica da sola non riesce a offrire. Altrimenti rischia di essere un tappabuchi. È importante ad esempio che le multiutility che si occupano dei servizi per l’energia, per l’acqua, per i rifiuti, per la telecomunicazione dialoghino e facciano sistema tra loro. Se non migliori la qualità della vita, il reddito delle persone, le opportunità di lavoro e la qualità dei servizi nella periferia, non si può parlare di una vera inclusione sociale.

Che iniziative avete messo in campo in questa direzione?

Come Politecnico, abbiamo cercato di promuovere iniziative a forte impatto sociale grazie soprattutto all’impegno dei nostri pianificatori urbani: stiamo cercando di suggerire e sviluppare progetti di grande respiro, volti alla ristrutturazione della città. L’ ANVUR, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, da quest’anno ha deciso di valutare anche la cosiddetta “terza missione”: non solo quindi la formazione e la ricerca, ma anche tutto quello che si fa per la comunità alimenta la responsabilità sociale dell’Università. In questa classifica il Politecnico di Torino è risultata la prima tra tutte le università italiane, grazie soprattutto al progetto di Ateneo che abbiamo chiamato PoliTO 4 Impact. Iniziato nel 2018, si è posto l’ambizioso obiettivo di “formare, scoprire e innovare per incidere su una società in rapido cambiamento”. In questo contesto operativo e progettuale, la terza missione ha svolto e sta svolgendo un ruolo fondamentale.

In che modo possiamo rispondere al bisogno di inclusione?

Il lavoro è la precondizione. Abbiamo creato un modello che si chiama “Creazione di comunità di conoscenza e innovazione” che vede l’Università impegnata insieme al Parco della Salute, della Ricerca e dell’Innovazione. In questo luogo generiamo percorsi di formazione e aggiornamento continuo delle competenze a qualsiasi livello e investiamo in progetti di ricerca applicata, senza dimenticare la condivisione della conoscenza con tutta la cittadinanza. In un’ottica più complessiva, l’obiettivo che tutti dovremmo perseguire è quello di riuscire a vincere le tre sfide principali che affliggono il tempo presente dell’umanità: i cambiamenti climatici, il miglioramento della qualità di vita delle persone, l’espansione della democrazia come unico strumento in grado di governare le crisi e le transizioni e di combattere la battaglia contro tutte le disuguaglianze. Se salta uno di questi tre segmenti, salta tutto. Per creare un progetto condiviso capace di guardare concretamente alla soluzione di questi problemi è necessario che lo studio all’università sia sempre più sistemico a favore di una visione complessiva perché una formazione esclusivamente di tipo verticale ormai non serve più a comprendere e risolvere questi aspetti.

E dobbiamo anche andare a studiare tutte le dinamiche, apparentemente diverse e disarticolate tra loro, che possono portare alla esplosione di nuovi conflitti, pandemie e profonde crisi economiche. La politica non riesce a comprendere e anticipare le crisi, le Università hanno occhi più allenati a farlo. Chi ha responsabilità politiche può ricevere molto aiuto dalle Università a favore di decisioni sempre più consapevoli e democratiche.