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Responsabile Legacoopsociali Piemonte

BARBARA DANIELE

“Il nostro obiettivo è quello di ridare dignità a ogni persona tramite un lavoro adeguatamente retribuito, fornendo un percorso di formazione tale da consentire anche ai più fragili di acquisire una propria autonomia e una propria indipendenza”

Le cooperative sociali sono sempre più coinvolte nelle nuove emergenze, inclusive ed economiche. Legacoopsociali Piemonte rappresenta le cooperative che perseguono gli interessi generali della comunità gestendo servizi socio-sanitari ed educativi (cooperative sociali di tipo A), oppure favorendo l’inserimento lavorativo di soggetti socialmente svantaggiati (cooperative sociali di tipo B). Tra le cooperative piemontesi vi sono alcune tra le più grandi realtà del nostro paese, oltre a cooperative di dimensioni minori che offrono servizi innovativi e qualificati nel campo dell’integrazione sociale e sanitaria e nel welfare di comunità, nell’inserimento lavorativo di fasce deboli del mercato del lavoro. Ne parliamo con la responsabile di Legacoopsociali Piemonte Barbara Daniele. Legacoop è un’associazione nazionale di imprese cooperative che promuove lo sviluppo della cooperazione, della mutualità e la diffusione dei valori cooperativi.

Cosa significa per lei il termine inclusione?

L’opportunità per tutti di realizzarsi come individuo, anche per chi vive una condizione di emarginazione.
Nell’ambito della cooperazione sociale, noi di Legacoop decliniamo l’inclusione sia come servizio di cura verso le persone che ne hanno bisogno, sia come inclusione attraverso l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Il nostro obiettivo è quello di ridare dignità a ogni individuo tramite un lavoro adeguatamente retribuito, fornendo anche un percorso di formazione così da consentire anche alle persone più fragili di acquisire una propria autonomia e una propria indipendenza.

Dal suo osservatorio professionale quali sono i nuovi bisogni di inclusione a cui la comunità è chiamata a rispondere?

Si comincia a parlare di cooperazione “sociale” ante litteram negli anni Settanta, in un periodo storico caratterizzato da grandi riforme, da profondi cambiamenti sociali e da una inedita disponibilità, anche dal punto di vista economico, da parte delle istituzioni. Questo processo apre un nuovo periodo di attenzione alle dinamiche sociali e stimola un cambiamento culturale. Formalmente, la cooperazione sociale nasce invece nel 1991, quando il fenomeno comincia a qualificarsi anche dal punto di vista normativo. Da quel momento in poi, si assiste alla nascita di una serie di cooperative che si occupano di servizi di assistenza alla persona e di inclusione attraverso lo strumento fondamentale dell’inserimento di soggetti cosiddetti “svantaggiati” nel mondo del lavoro. Le prime esperienze sono costruite attorno a occupazioni che richiedono bassa professionalità e che per questo possono essere svolte da persone con difficoltà, per poi trasformarsi nel tempo anche in progetti più ambiziosi. Gli appalti e le convenzioni con la Pubblica Amministrazione diventano un bacino importante di lavoro, in particolare per quanto riguarda i servizi di pulizia nelle scuole, la cura del verde e i servizi ambientali. Proprio in questo ambito, come associazione stiamo portando avanti, attualmente, la realizzazione di attività di ricerca e di studio finalizzate alla diffusione di buone pratiche nel campo dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati in Piemonte. Progetti di economia ibrida che costruiscono partnership con le imprese di pubblica utilità su obiettivi sociali e ambientali premiandone l’impatto sociale.

Un altro ambito su cui state intervenendo?

Stiamo lavorando a un progetto in carcere volto a diminuire il tasso di recidiva attraverso la creazione di competenze lavorative e il reinserimento occupazionale di persone in esecuzione penale. Il lavoro è un elemento cardine del trattamento rieducativo e riabilitativo, anche perché offre possibilità di recupero alla persona detenuta, sia in prospettiva per quando uscirà dal carcere, sia durante il periodo di detenzione. Anche questo progetto prevede lo sviluppo di modalità di lavoro autonomo che consentano di autogestirsi in attività imprenditoriali anche di piccole dimensioni, oppure di accompagnamento all’interno di imprese lavorative già esistenti. Questo succede spesso nel settore dell’agricoltura sociale o in altri ambiti produttivi in cui i profili professionali dei detenuti possono incontrare le esigenze delle attività svolte dalle cooperative.

Il sistema normativo può agevolare percorsi come questi?

Si sono fatti molti passi avanti. In questo senso, un elemento importante da considerare è l’articolo 14 del Decreto Legge 276/2003: le parti firmatarie (da un lato la Regione Piemonte, dall’altro le associazioni di rappresentanza della cooperazione, delle imprese profit e le Organizzazioni Sindacali) condividono l’obiettivo di favorire il diritto all’integrazione socio-lavorativa per tutte le persone iscritte nelle liste del collocamento obbligatorio. Le persone iscritte nelle liste che presentano particolari difficoltà di reinserimento nel ciclo lavorativo ordinario possono essere agevolate attraverso la sottoscrizione di queste convenzioni. Anche in questo caso le parti si impegnano a valorizzare la centralità della persona, la funzione formativa del lavoro per esprimere al meglio le potenzialità delle persone con disabilità gravi, cercando di affermare una cultura di inclusione nei singoli territori. Queste convenzioni, stipulate con le aziende profit, affidano a una cooperativa sociale una commessa di lavoro e la cooperativa sociale assume un soggetto indicato dall’Agenzia per il lavoro, aggiungendo le proprie competenze in materia di tutoraggio e tutela di queste persone. Senza dimenticare la co-progettazione, introdotta negli ultimi anni nel Terzo Settore. Si tratta di uno strumento che offre la possibilità di creare una corretta concertazione delle politiche sociali tra enti pubblici e privati così da rispondere ai bisogni reali del territorio e intercettarne di nuovi.

In che modo la società può essere più competitiva e coesa nella lotta alle disuguaglianze?

Per creare coesione sono convinta ci sia bisogno di un lavoro sempre più trasversale: non basta più la cooperazione sociale da sola, non basta più la Pubblica Amministrazione che affida servizi specifici in convenzione con il non profit, non bastano più le istituzioni che si occupano di servizi di cura alla persona. Bisogna mettersi davvero in un’ottica di sussidiarietà orizzontale per affrontare i problemi e rispondere tutti insieme, anche perché le risorse economiche a livello pubblico sono sempre di meno e servono delle alternative. Il welfare pubblico soffre per ovvie ragioni di sostenibilità di bilancio, è dunque necessario un impegno condiviso per integrare questa difficoltà nel reperimento delle risorse, sia a livello operativo che economico, facendo sì che l’inclusione sia sempre più non solo un valore, ma anche un fattore competitivo per tutti, a partire dalle imprese.

Quali modifiche dovranno attuare le cooperative sociali per affrontare le nuove emergenze che stanno caratterizzando il nostro tempo?

Questa è una sfida decisiva. Il mondo dell’imprenditoria sta soffrendo molto a causa dei costi energetici, dei trasporti e delle materie prime. Come Associazione stiamo cercando di portare avanti la voce delle nostre imprese per capire se possiamo trovare delle soluzioni per affrontare queste nuove emergenze anche con l’aiuto del Pubblico. È chiaro che bisogna ripensare a livello nazionale una politica che consenta la sostenibilità del lavoro a tutti i livelli. La vera inclusione passa attraverso la dignità del lavoro. Noi stiamo cercando di portare questa difficoltà all’attenzione di tutti.