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Assessora della Città di Torino con deleghe all’Istruzione, Edilizia scolastica, Politiche giovanili, Periferie e rigenerazione urbana

CARLOTTA SALERNO

“L’inclusione è un dovere fondamentale per le istituzioni: agire per tenere tutti i cittadini all’interno del processo democratico e partecipativo, creando le condizioni e i contesti in cui ciascuno possa avere pari opportunità ed esercitare pari diritti”

Dopo essere stata presidente della Circoscrizione 6, e con una lunga competenza per ciò che riguarda educazione, giovani e periferie, dal 2021 Carlotta Salerno svolge il ruolo di Assessore della Città di Torino occupandosi di Istruzione, Politiche giovanili, Edilizia scolastica, Periferie e Rigenerazione urbana.

Cosa significa per lei il termine inclusione?

L’inclusione è un concetto complesso, che può essere definito secondo diversi punti di vista. Nella sua accezione più ampia, ritengo che l’inclusione consista nella capacità e nella volontà di interagire in modo positivo con la persona che si ha vicino, indipendentemente dalle caratteristiche proprie e altrui. Quando parlo con i bambini, che sono i cittadini di domani e il nostro futuro, spiego sempre loro che attenzione e gentilezza sono le basi migliori per conoscersi e stare bene insieme agli altri, senza farsi condizionare da paure e pregiudizi.

Nel mio ruolo di assessore, considero l’inclusione un dovere fondamentale per le istituzioni: il dovere di agire per tenere tutti i cittadini all’interno del processo democratico e partecipativo, creando le condizioni e i contesti in cui ciascuno possa avere pari opportunità ed esercitare pari diritti. Le mie deleghe convergono in questo obiettivo, partendo dalla valorizzazione del ruolo della scuola come motore di connessioni, inclusione e rigenerazione urbana.

Dal suo osservatorio, quali sono i nuovi bisogni di inclusione a cui la città di Torino deve rispondere?

L’inclusione è un processo che si nutre di reciprocità. La comunità di Torino trova la propria forza nel suo essere articolata e nell’avere una lunga storia alle spalle fatta di accoglienza e di solidarietà. Questa è la sua bellezza e la sua straordinaria forza. Bisogna partire da qui per rispondere ai nuovi bisogni di inclusione, che saranno molti e molto complessi, accogliendo tutte le differenze e le fragilità, ma anche le nuove opportunità che si presenteranno. Dobbiamo essere pronti.

Che cosa serve secondo lei per combattere la povertà, la fragilità e l’incertezza che stiamo vivendo in questo periodo? In che modo la società può essere più competitiva per combattere le disuguaglianze?

È fondamentale fare sistema: le istituzioni e il privato sociale devono agire secondo un approccio sinergico, allargato e strutturato. “Da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano”, dice un antico proverbio africano. Quando si parla di inclusione, la cooperazione è il vero fattore competitivo. E l’educazione alle differenze, secondo l’insegnamento di don Milani, rappresenta l’obiettivo più grande da raggiungere.
Trovo anche necessario quello che mi piace chiamare uno “strabismo positivo”, cioè uno sguardo che si concentra sempre e contemporaneamente su due focus: le fragilità, da una parte, lo sviluppo socio-economico della città, dall’altra. Una comunità che interpreta il proprio sviluppo in un’ottica solidale, diventa capace di creare nuove opportunità per tutti, anche sul piano dell’occupazione, trovando spazio anche per le persone che sono in una condizione lavorativa differente o hanno necessità di lavorare con modalità diverse.
Quale ruolo possono avere la scuola e, più in generale, le politiche educative per favorire l’inclusione?
La scuola riveste un ruolo fondamentale nell’insegnare ad accogliere gli altri, a riconoscere e valorizzare le differenze, a fare squadra. È a scuola che sin da piccolissimi si impara a essere parte di una comunità e di una società civile. Dal mio punto di vista, questo non vuol dire attribuire all’istituzione scolastica l’intera responsabilità dei processi di inclusione, ma piuttosto riconoscere il suo ruolo e la sua identificazione come luogo primario di socializzazione, insieme alla meraviglia e alla centralità del processo educativo. L’adulto che ciascun bambino diventerà dipende soprattutto dalla qualità del percorso scolastico che ha vissuto.

Come sta procedendo il percorso di integrazione dei minori di cittadinanza straniera?

Torino, da questo punto di vista, è un’eccellenza. A parte alcune differenze territoriali, i progetti scolastici di supporto educativo e didattico agli alunni stranieri sono diffusi in modo abbastanza capillare, soprattutto per l’insegnamento della lingua italiana. E in una dinamica di apprendimento inclusivo, il privato sociale svolge un grande e proficuo lavoro nell’organizzare attività extrascolastiche dedicate all’insegnamento linguistico. Ora le scuole stanno chiedendo un ulteriore supporto all’amministrazione pubblica per assolvere sempre meglio a questi compiti per cui non sempre sono strutturate. Sulla base degli orientamenti per una scuola interculturale e accogliente, emanati dal Ministero, stiamo perciò cercando di individuare gli strumenti più concreti che possiamo mettere a disposizione.

Come vede il futuro della collaborazione tra Ente Pubblico e Terzo Settore per promuovere il processo di inclusione?

Sono una convinta sostenitrice del dettato costituzionale della sussidiarietà. La collaborazione con il Terzo Settore è essenziale per l’amministrazione pubblica, a cui va la responsabilità di permettere a tutte le esperienze del privato sociale di esprimersi al meglio delle proprie potenzialità, nel quadro di un approccio coordinato e mirato all’inclusione. Per fare degli esempi concreti, nell’affrontare i temi delle politiche giovanili per bambini e adolescenti, noi abbiamo attivato due progetti in co-programmazione; per la fascia di età più piccola con la compagnia San Paolo, per i ragazzi più grandi grazie alle risorse del PNRR. Questa per noi rappresenta una modalità di lavoro imprescindibile. Il percorso intrapreso con Compagnia di San Paolo mira a rafforzare l’identità di Torino come Città Educativa e nel farlo sono stati individuati tre filoni principali, suddivisi in fasce d’età: 0-6, 6-16 e neet (dall’inglese Not in Education, Employment or Training). Per ogni categoria si studia lo scenario attuale dei servizi e, grazie a un lavoro di coprogettazione con Enti del Terzo Settore, si definiscono e programmano le linee di azione successive. L’obiettivo è rendere i servizi sempre più vicini a bambine e bambini, ragazze e ragazzi.

Il secondo progetto in co-programmazione riguarda più da vicino le politiche giovanili. In seguito al reperimento di risorse PNRR pari a circa 4,5 milioni di euro, abbiamo manifestato come Città di Torino la volontà di chiamare a raccolta tutti gli Enti del Terzo Settore (ETS) che si occupano di giovani, di prevenzione del disagio giovanile e promozione del loro benessere. Il motivo? Delineare congiuntamente le politiche giovanili dei prossimi dieci anni, prevedendo interventi materiali e immateriali a favore di adolescenti e giovani. Seguendo gli obiettivi della Strategia Europea della Gioventù (Spazio e Partecipazione per tutti, Informazione e Dialogo costruttivo, Società Inclusiva, Benessere Personale e Sociale, Pari Opportunità ed Uguaglianza di Genere), sono state raccolte le istanze di circa quattrocento ETS tramite un primo evento kick-off. Una volta terminata la fase di co-programmazione, tra la primavera e l’estate si partirà con un percorso di co-progettazione per concretizzare gli interventi.