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Presidente Ufficio Pio, ente strumentale della Fondazione Compagnia di San Paolo

MARCO SISTI

“Lavoriamo per risolvere lo stato di difficoltà della persona, così da permetterle subito di uscire da una situazione oggettiva di disagio e, nel lungo periodo, di intraprendere un percorso di emancipazione”

L’Ufficio Pio è un ente di solidarietà attiva, che opera principalmente nell’area metropolitana di Torino per ridurre le disuguaglianze economiche e sociali presenti nel territorio. Il suo staff, con il prezioso contributo del volontariato, lavora cercando di tradurre quotidianamente in concreto il principio di uguaglianza e di pari dignità tra le persone. Nel 2021, la Fondazione Ufficio Pio ha stanziato 9,3 milioni di euro fra trasferimenti monetari e servizi, soprattutto per contrastare la povertà minorile. In tutto sono state coinvolte 14.183 persone, tra adulti, minori, studenti e anziani, attraverso nove differenti programmi. Presidente dell’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, Marco Sisti è consulente del Formez PA e di Eutalia. È stato Direttore dell’Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte e dell’ASVAPP (Associazione per lo Sviluppo della Valutazione e l’Analisi delle Politiche Pubbliche).

Cosa significa per lei il termine inclusione?

Esistono modi diversi per riempire di significato questo termine. Per me inclusione significa sentirsi parte di una comunità, vedendosi riconosciuta una serie di diritti fondamentali a cui si può accedere facilmente, ed essere disponibili al tempo stesso a riconoscere i valori fondanti di tale comunità e i doveri che ne discendono. In questa accezione è un concetto che investe una dimensione soggettiva, individuale. Ma l’inclusione ha a che fare anche con una dimensione più oggettiva: una società può dirsi inclusiva se è in grado di affrontare le forme di discriminazione e le fonti di disuguaglianza sociale ed economica che porta con sé. Una società inclusiva è aperta nei confronti di tutte le persone, soprattutto di quelle che presentano elementi di forte diversità e di estraneità. Elementi che non devono essere rimossi mediante un processo di assimilazione forzata, ma compresi e accolti. Il tema dell’inclusione è molto presente nel lavoro dell’Ufficio Pio: attraverso i nostri programmi ci proponiamo di contrastare tutti quei fattori che determinano forme diverse di esclusione sociale e che di fatto ostacolano l’accesso ai diritti civici, sociali e politici. Con riferimento alla popolazione di origine straniera, ad esempio, riteniamo centrale il tema della padronanza della lingua italiana: è il primo strumento in grado di sviluppare davvero inclusione e uguaglianza. Come scriveva Don Milani: “È solo la lingua che rende uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intendere l’espressione altrui”. Intendiamoci, il tema dell’alfabetizzazione non riguarda solo le persone di origine straniera; esiste purtroppo un tasso elevato di analfabetismo funzionale anche tra le persone di origine italiana. Per questo insistiamo molto sul rafforzamento delle competenze a tutto tondo: linguistiche, professionali, digitali, sociali, finanziarie, genitoriali. L’obiettivo è aiutare le persone che partecipano ai nostri programmi a diventare cittadini sempre più competenti.

Dal suo punto di vista, guardando ai temi delle disuguaglianze e dell’inclusione, qual è il ruolo della tecnologia?

La tecnologia ha potenzialità enormi sul fronte della lotta alle disuguaglianze. Tutto dipende, però, dall’utilizzo che si riesce a farne. Prendiamo l’esempio della tecnologia digitale che ha avuto uno sviluppo eccezionale nell’ultimo ventennio. Da un lato, essa consente un accesso gratuito e immediato a una conoscenza praticamente senza limiti. Sul web si può imparare di tutto e tutto sembra essere a portata di click. Se ben indirizzate, queste risorse possono aiutare le persone a progredire e a uscire da situazioni di ignoranza o da carenze strutturali di informazioni e servizi. Dall’altro lato, è facile osservare come attraverso il digitale si aprano le porte non solo al più bieco consumismo, fatto di bisogni indotti da sollecitazioni subliminali di cui non ci rendiamo neppure conto, ma anche a forme patologiche di vera e propria dipendenza. Un esempio facile è il gioco d’azzardo online, che ha visto il proprio fatturato aumentare in modo vertiginoso. Non mi sembra che la nostra società abbia ancora approntato misure significative per limitare un uso distorto del digitale; né che ci siano iniziative strutturate per far crescere nelle persone una corretta consapevolezza e una capacità di difesa rispetto a determinati stimoli.

Tra “inclusione” e “tecnologia” si può collocare una terza parola, che è “tempo”: la tecnologia può velocizzare i processi di inclusione?

Ho la sensazione che l’estrema velocità della tecnologia rischi, in realtà, di provocare esclusione qualora non si dia la giusta attenzione a chi ha minori risorse per restare al passo. Sempre per fare un esempio facile, la recente pandemia ci ha mostrato quanto velocemente alcuni studenti che non possedevano connessioni e strumenti tecnologici adeguati siano rimasti fuori dalle aule on-line. Da un giorno all’altro sono letteralmente scomparsi dalla vista dei docenti e dei loro compagni più attrezzati. La tecnologia ha rappresentato una soluzione molto rapida ed efficace solo per chi la possedeva ed era in grado di gestirla correttamente. In quel periodo l’Ufficio Pio ha deciso di dar vita a un programma che si chiama DigitAll e che prosegue sino ad oggi. Alle famiglie in difficoltà economica e con minori in età scolastica abbiamo offerto la possibilità di accedere a una connessione domestica a banda larga, di avere un personal computer e di partecipare a un corso di prima alfabetizzazione per adulti. L’idea è aiutare le famiglie a esercitare un diritto di cittadinanza digitale che spesso non sanno neppure di possedere. Viene insegnato loro ad attivare una Spid, a usare l’email e il web per contattare la pubblica amministrazione, a consultare il registro scolastico dei figli e restare in contatto con la scuola, a iscriversi a un centro per l’impiego, a scegliere il medico di famiglia e prenotarsi per una prestazione sanitaria. Per ritornare alla domanda posta, imparare a fare tutte queste piccole cose e a usare correttamente la tecnologia permette di risparmiare tempo di vita, che è poi il nostro bene più prezioso.

Venendo a Torino, quali sono oggi i bisogni di inclusione a cui occorre dare risposta?

Se analizziamo le tendenze di sviluppo del Piemonte, possiamo notare che Torino, pur partendo da una posizione allineata, o addirittura avanzata, rispetto alle grandi città del nord, negli ultimi trenta anni ha perso progressivamente terreno. Nei periodi di sviluppo è cresciuta più lentamente delle altre e nei periodi di crisi ha visto fortemente contrarsi la sua capacità produttiva. Per questo, oggi, Torino appare una città poco resiliente sotto il profilo economico. La percentuale di persone in povertà assoluta, dopo la pandemia, è risultata molto più elevata rispetto ad altre aree del centro nord e con un peggioramento progressivo più rilevante, in quanto partiva da una situazione migliore nel passato. Torino però non è tutta uguale nella distribuzione della ricchezza e delle opportunità. Come sappiamo esistono differenze importanti tra i vari quartieri. Le situazioni più difficili si concentrano nella zona nord della città; noi riceviamo dalle circoscrizioni 5 e 6, più del 50% delle domande di partecipazione ai nostri programmi. I bisogni primari di inclusione si manifestano sempre e più o meno nello stesso modo: grave problema abitativo, perdita del lavoro o lavori poco remunerati, difficoltà ad alimentarsi in modo sano e a curare la propria salute e, soprattutto dopo la pandemia, perdita di relazioni di qualità all’interno della comunità e forte tendenza all’isolamento. Emerge inoltre una forte concentrazione di povertà assoluta e delle situazioni di maggiore deprivazione tra le generazioni più giovani, in particolare tra le famiglie con minori.

In questo contesto, l’Ufficio Pio lavora su una serie di dimensioni legate allo stato di difficoltà della persona, così da permetterle, nel breve periodo, di uscire da una situazione oggettiva di disagio, e, nel lungo periodo, di intraprendere un percorso di emancipazione e di partecipazione alla vita della comunità. Abbiamo investito molto su un approccio intergenerazionale: lavorare con una giovane madre significa non solo dare a lei strumenti utili a migliorare la sua condizione di vita, ma raggiungere anche i suoi figli, che potranno essere iscritti al nido e ricevere servizi educativi per la prima infanzia, fondamentali per lo sviluppo socio-cognitivo della persona. Le basi per la società inclusiva di domani si costruiscono oggi aiutando i giovanissimi a ricevere un’istruzione di qualità e a fare esperienze di vita positive e gratificanti.