MASSIMO GIORDANI

Innovation Manager
Presidente Associazione Italiana Sviluppo Marketing
Chief Advisor LabDEC - SAA School of Management Università di Torino

Perché abbiamo bisogno
di Human Marketing

Premessa

Il concetto di Terzo Settore (o settore non-profit) deriva dalla considerazione dell’esistenza nel sistema economico e sociale di un primo settore (lo Stato) e di un secondo (il mercato). In tal senso si identifica usualmente il t. s. con quell’insieme di attività produttive che non rientrano né nella sfera dell’impresa capitalistica tradizionale (poiché non ricercano un profitto), né in quella delle ordinarie amministrazioni pubbliche (in quanto si tratta di attività di proprietà privata).
Enciclopedia Treccani

Il valore crescente che il Terzo Settore ha assunto nella nostra società è evidente, come dimostra il censimento permanente delle istituzioni non profit che l’ISTAT aggiorna costantemente1. I dati pubblicati a ottobre 2022 riportano una crescita da 301.191 istituzioni nel 2011, alle 363.499 nel 2020. Al contempo, il numero dei dipendenti è passato dai 680.811 del 2011 a 870.183 nel 2020. La costanza dell’incremento, su base decennale, indica che non si tratta di un fenomeno occasionale ma di un trend strutturale che è parte attiva delle profonde trasformazioni socioeconomiche in atto.
Parallelamente a questa crescita si è assistito a una progressiva presa di coscienza del ruolo che il marketing, anche nel Terzo Settore, può svolgere per consentire il raggiungimento di obiettivi come, nel caso specifico, l’incremento degli iscritti a un’associazione o la raccolta di donazioni da parte dei suoi sostenitori. Soprattutto con i ripetuti lockdown e la conseguente riduzione generalizzata delle occasioni di incontro pubblico che si sono verificati in seguito alla pandemia, il marketing, in particolare nelle sue declinazioni digitali, è emerso come elemento portante di ogni attività, anche non profit. In molti casi è stato l’elemento su cui si è fondata la sopravvivenza stessa degli enti del Terzo Settore che si sono trovati nell’impossibilità di utilizzare i loro consueti canali relazionali.

Dall’esigenza di mantenere le relazioni con i propri interlocutori, clienti acquisiti e clienti potenziali per le imprese, associati e sostenitori per gli Enti non profit, si è sviluppato un marketing capace sì di utilizzare gli strumenti digitali per consentire gli scambi relazionali ma, al contempo, paradossalmente, di renderli più umani.

Questa premessa porta a evidenziare la necessità di un modo diverso di concepire l’orientamento al mercato delle organizzazioni che possiamo definire human marketing, dove le parole chiave che lo guidano sono etica, sostenibilità, fiducia, relazione, empatia. Nel 2021, il padre del marketing contemporaneo, Philip Kotler2 , ha pubblicato, con Waldemar Pfoertsch e Uwe Sponholz, H2H Marketing – The Genesis of Human-to-Human Marketing, evidenziando il valore delle relazioni tra esseri umani e superando quindi la classica distinzione tra Business-to-Business e Business-to-Consumer, dove il focus è sulla parola business.

In questo contributo si vuole concentrare l’attenzione sul termine human per connotare con ancor più forza il tipo di marketing a cui ci stiamo riferendo, caratterizzato da un approccio umano intrinseco che, certamente, trova attuazione attraverso la costruzione di relazioni H2H, ma che viene concepito sulla base di principi che stanno a monte delle relazioni stesse e che sono stati identificati nelle parole chiave sopra citate.
Lo human marketing, pur essendo applicabile in ogni ambito, trova la massima espressione nel Terzo Settore, per sua natura attento al bene comune e, per statuto, finalizzato al profitto sociale, non a quello economico.

La Fondazione Educatorio della Provvidenza rappresenta un esempio straordinario di Ente non profit che ha saputo evolvere di pari passo con i cambiamenti socio-economici, adattando le sue attività alle esigenze di un territorio che, nell’arco di tre secoli, ha visto trasformazioni straordinariamente profonde, dalla Torino capitale di un piccolo regno alla città postindustriale di oggi.
Per la Fondazione, all’alba del quarto secolo di attività, lo human marketing può essere un elemento distintivo della nuova strategia di relazione con il territorio, fortemente voluta dal Presidente Carlo Majorino con cui ho condiviso lunghe riflessioni per arrivare a declinare operativamente questo modo di intendere il marketing in un Ente dalla storia plurisecolare.

Marketing, human marketing e relazioni umane.

Il marketing è una disciplina particolarmente sensibile ai mutamenti sociali e del sistema economico. Nel corso degli anni la sua definizione è stata sempre oggetto di declinazioni diverse e continua a evolvere. L’American Marketing Association, costituita nel 1937 dalla fusione tra la National Association of Marketing Teachers e la American Marketing Society, è un punto di riferimento del settore e aggiorna periodicamente la definizione. L’ultima, datata 2017, recita3: «Marketing is the activity, set of institutions, and processes for creating, communicating, delivering, and exchanging offerings that have value for customers, clients, partners, and society at large.». In queste poche parole sono racchiusi concetti importanti che evidenziano il ruolo trasversale che il marketing svolge a livello economico e sociale. Ogni attività umana è orientata da azioni di marketing più o meno spontanee.

Tra i tipi di marketing che vengono riportati sul sito dell’American Marketing Association si trovano:

  • Influencer Marketing
  • Relationship Marketing
  • Viral Marketing
  • Green Marketing
  • Keyword Marketing
  • Guerrilla Marketing

Senza entrare nei dettagli delle singole definizioni, ciò che emerge da questo elenco è il ruolo fondamentale svolto da Internet nel generare nuove forme di marketing basate sulle relazioni. A parte il green marketing, che ha ragioni d’essere legate a un tema specifico, tutti gli altri tipi si sono sviluppati grazie a Internet e sono applicabili in qualunque ambito.

La grande rete digitale che avvolge il pianeta in modo sempre più capillare e che ormai può essere vista come il sistema nervoso della nostra società, ha nel marketing un potente motore che vede sempre come destinatario finale l’essere umano.

Sulla scia di quanto è stato realizzato negli ultimi anni, è verosimile immaginare intelligenze artificiali sempre più evolute, capaci di profilare in modo via via più raffinato i potenziali clienti che, auspicabilmente, manterranno comunque il potere decisionale sull’atto d’acquisto, così come avviene oggi con i sistemi di profilazione delle grandi piattaforme di programmatic advertising ed e-commerce che suggeriscono prodotti e servizi selezionati in base ai nostri comportamenti on-line.

Associare la parola human al marketing significa cambiare il modo di pensare a questa disciplina, spostando l’attenzione dal business verso la componente umana. Bryan Kramer, nel libro Human to Human: H2H 4, pubblicato nel 2014, quindi in un periodo dove l’ascesa dei social media aveva già conquistato l’attenzione di ogni professionista del marketing, mise in evidenza la necessità di dare maggior rilevanza agli elementi emozionali e all’empatia travalicando le distinzioni classiche tra B2B e B2C per concentrarsi proprio sull’elemento umano.

L’obiettivo principale di ogni azione di marketing non deve essere la vendita di un prodotto a tutti i costi bensì la soddisfazione di un’esigenza. L’atto di acquistare deve essere compiuto perché quel prodotto risponde a una necessità, concreta e reale, che in un certo momento possiamo manifestare spontaneamente, non perché siamo stati convinti di averne bisogno. Siamo persone, non banali e meccanici consumatori.
Lo human marketing ha, in primis, l’obiettivo di rispettare le persone, comunicando con loro in modo sincero ed empatico. A oltre vent’anni di distanza dalla pubblicazione di The Cluetrain Manifesto 5, non ci sono più dubbi che i mercati siano conversazioni, lo abbiamo imparato soprattutto grazie ai social media e lo hanno capito anche le aziende che si sono trovate a perdere, in pochi anni, il potere della comunicazione broadcast, soppiantata dal peer to peer.

Chi è più bravo a interagire con le persone e a stimolare un passaparola positivo ha maggiori probabilità di successo, è un dato di fatto. Ciò è possibile se i prodotti che si offrono al mercato hanno caratteristiche tali da renderli appetibili a un certo numero di clienti, il minimum viable market, e se corrispondono davvero a ciò che l’azienda promette.

Ma questa è solo la conditio sine qua non per partecipare alla competizione nel libero mercato, per vincere la gara occorre aggiungere la capacità di gestire efficacemente tutte le fasi del customer journey, un vero e proprio viaggio che inizia quando il potenziale cliente entra in contatto per la prima volta con un prodotto e termina quando dovrà disfarsene, magari ricominciando il ciclo con un nuovo prodotto della stessa marca se quel viaggio è stato soddisfacente. Le sfide che ci pone lo human marketing sono importanti e vanno al di là degli aspetti strettamente di mercato, toccano in profondità il modo in cui si instaurano e si gestiscono le relazioni umane, come si sviluppano rapporti basati sulla fiducia, quanto si è capaci di mettersi in gioco personalmente, anche quando si rappresenta un’impresa, un ente, un’istituzione.
Dale Carnegie, nel suo libro Come trattare gli altri e farseli amici 6, pubblicato nel 1936 e aggiornato nel 2022, già in quell’epoca aveva inteso chiaramente il valore delle relazioni come elemento alla base della nostra vita, prima ancora che del successo economico. Lo human marketing fa tesoro del lavoro di maestri come Carnegie, Kotler e tanti altri per offrirci un modo sostenibile di sviluppare le nostre attività economiche e sociali.

I cinque principi dello human marketing

Senza voler dare definizioni che risulterebbero riduttive, è possibile riassumere in cinque punti gli obiettivi e le azioni dello human marketing:

  • il miglioramento della qualità della vita dell’essere umano è l’obiettivo di ogni attività di human marketing che deve essere sostenibile, rispettare l’ambiente e minimizzare l’impatto su di esso;
  • lo human marketing è un processo iterativo fondato su informazioni approfondite e attendibili che consentono di sviluppare una proposition comunicabile e di valore;
  • ogni azione di human marketing deve saper stimolare conversazioni che incoraggino un passaparola positivo;
  • il monitoraggio costante degli effetti generati dalle azioni di human marketing deve consentire il miglioramento del processo iterativo su cui si basano che, nel tempo, diventa sempre più coerente ed efficace;
  • il rapporto di fiducia generato con il contributo delle azioni di human marketing, tra chi promuove le azioni stesse e i loro destinatari, è il valore più importante e non può essere messo in discussione.

Questi cinque punti riassumono un insieme molto articolato di obiettivi e di azioni che provengono da decenni di sviluppo del marketing declinandolo alla luce di una nuova consapevolezza, la consapevolezza che non si può ridurre tutto all’obiettivo del consumo. Il marketing, oggi, come si evince anche dalla Prassi di Riferimento UNI 133:2022, Orientamento al mercato delle organizzazioni, redatta dall’Associazione Italiana Sviluppo Marketing, non può prescindere dagli aspetti etici che rappresentano l’elemento centrale dello human marketing.

Il ruolo dello human marketing nel Terzo Settore

Nel Terzo Settore il valore più importante è, da sempre, quello delle relazioni. Le imprese hanno iniziato a comprendere in tempi relativamente recenti che mettere il cliente al centro era l’unico modo per fronteggiare i cambiamenti dei mercati. Cambiamenti dettati, in primo luogo, dall’enorme potere che il web e, in particolare, i social media hanno messo a disposizione di chiunque desiderasse condividere le proprie opinioni su ogni genere di argomento.

Gli enti del Terzo Settore non hanno avuto bisogno della diffusione del web per accorgersi del valore delle relazioni umane, sono sempre state il loro asse portante. I canali di comunicazione digitale hanno però amplificato le potenzialità relazionali insite nel mondo non profit il cui principale strumento di marketing è il passaparola7.

Si può affermare che il Terzo Settore ha sempre applicato i principi dello human marketing in modo spontaneo ed oggi può cogliere i frutti di questa propensione naturale applicandola sistematicamente alle sue molteplici attività. Attraverso gli strumenti che il marketing mette a disposizione, in particolar modo i social media, è possibile valorizzare le informazioni relative alle attività degli Enti non profit focalizzando l’attenzione di molte tipologie di persone che possono avere una elevata sensibilità verso le tematiche sociali.
In linea di principio, dovrebbe essere relativamente semplice attirare l’attenzione con un messaggio che tocca i nostri sentimenti parlando di iniziative positive, di progetti utili per la società. Nella pratica, il rumore mediatico prodotto da un’infinità di soggetti, che magari investono risorse importanti per realizzare contenuti scientificamente studiati per essere accattivanti, rende problematico catturare l’attenzione, soprattutto se non si hanno grandi cifre da investire per la comunicazione pubblicitaria.
Ed è qui che entra in gioco lo human marketing, per amplificare la visibilità delle attività che gli Enti non profit svolgono silenziosamente, con il lavoro quotidiano di persone, molte volte volontarie, che sono concentrate sul fare, più che sul raccontare.

Verso un modello distribuito e consapevole

Il marketing si avvale di strumenti che diventano sempre più articolati, grazie allo sviluppo del mondo digitale. Ciò ha portato a una forte concentrazione di potere nelle mani dei grandi attori che dominano la rete globale, le piattaforme social più importanti e un pugno di aziende: Amazon, Apple, Google, Meta, Microsoft e pochi altri. Escludendo la Cina, la Russia e qualche altro paese autocratico, per raggiungere il proprio pubblico occorre passare attraverso gli attori citati. Ciò pone questioni etiche che sono emerse con forza soprattutto dopo le elezioni americane del 2016, quando scoppiò lo scandalo Cambridge Analytica, la società britannica che venne alla ribalta per aver influenzato le elezioni con una propaganda segreta a favore di Donald Trump basata su dati presi dai profili di milioni di utenti Facebook. In estrema sintesi, la questione posta dalla concentrazione di informazioni personali relative a miliardi di individui, nelle mani di pochi grandi attori, riguarda la sostenibilità nel tempo di tale potere in un sistema democratico.
È possibile parlare di human marketing utilizzando strumenti di questo tipo? Esistono alternative che consentano di cogliere il potere della condivisione e della socializzazione digitale senza mettere a rischio i dati degli utenti? La risposta sta in una delle tecnologie più dirompenti della storia, capace di mettere in discussione ogni forma di potere basato sulla centralizzazione dei dati e dei processi: la blockchain. Come ho evidenziato nel report Tecnologie emergenti per lo sviluppo sostenibile8, la rilevanza della blockchain va contestualizzata in una prospettiva sociologica perché tocca alla radice le modalità stesse con cui gli esseri umani hanno imparato a relazionarsi, sin dalla notte dei tempi.
La storia dell’umanità è sempre stata focalizzata su strutture sociali di tipo gerarchico, fortemente centralizzate. Dalle prime tribù dove un ristretto numero di persone gestiva tutti gli aspetti della vita sociale, fino agli Stati moderni nei quali ogni singolo elemento della nostra vita è soggetto a un qualche ente che ne gestisce le regole di funzionamento (studio, lavoro, finanza, sanità, sicurezza…).

Oggi, con la, anzi, le, tecnologie blockchain (dopo quella originale di Satoshi Nakamoto ne sono state sviluppate molte altre), il paradigma del potere centralizzato viene messo in discussione e questo ha portato, tra le infinite applicazioni possibili, alla nascita di social media basati su blockchain che potranno mettere in discussione lo strapotere di quelli attualmente dominanti, tutelando i dati degli utenti.
I nomi emergenti sono numerosi, per quanto riguarda le piattaforme social in senso stretto stanno assumendo rilevanza piattaforme apripista come Steemit, fondato nel 2016 e ormai affermato come punto di riferimento per il social blogging; DTube, la versione decentralizzata di YouTube, fondato nel 2017; Minds, lanciato nel 2015 come alternativa a Facebook e Twitter. Si potrebbe proseguire con l’elenco, che si sta allungando di anno in anno, ma ciò che conta è la crescente presa di coscienza degli utenti sull’importanza dei dati personali, sul loro valore, sociale ed economico.

È grazie a queste soluzioni basate su blockchain che lo human marketing potrà svilupparsi su un nuovo livello di attenzione verso gli utenti, offrendo loro anche la possibilità di essere remunerati per le interazioni che i contenuti pubblicati sono capaci di stimolare.
Nello scenario qui tratteggiato, il Terzo Settore può trovare terreno fertile, un terreno coerente con nuovi modelli relazionali, basati sul rispetto delle persone e su modelli economici che contrastano la concentrazione del potere in poche mani.

È in questa direzione che l’Educatorio della Provvidenza si muove, all’alba del suo quarto secolo di vita, un secolo che vedrà cambiamenti difficili da immaginare oggi, nel quale l’integrazione tra fisico e digitale, tra atomi e bit, arriverà al massimo livello possibile. La parola inclusione, certamente, troverà nuove declinazioni di senso ma rimarrà un principio fondamentale per la società, e lo human marketing sarà al suo servizio.