“L’isolamento causato dalla pandemia ha aumentato i bisogni di inclusione dei giovani e degli anziani. Abbiamo messo distanza tra le persone: un metro, due metri, uno schermo, tanti schermi. Torino ha bisogno di ricreare ‘cortili’ in cui tutte le generazioni stiano insieme in modo spontaneo”
Banco Azzoaglio è una banca privata e indipendente, nata a Ceva in provincia di Cuneo, fondata nel 1879 da Paolo Azzoaglio, commerciante, proprietario terriero e immobiliare. Erano gli anni della grande migrazione degli italiani verso gli Stati Uniti e i Cebani (si chiamano così gli abitanti di Ceva) espatriavano verso la California e affidavano le loro rimesse bancarie proprio al Banco della loro città. Una storia di fiducia e di famiglia da sempre legata ai valori del territorio. Negli ultimi sessanta anni il Banco è diventato poco per volta ciò che è oggi. La prima filiale, a Garessio, poi il grande passo in Liguria, l’estensione del raggio d’azione nelle Langhe e nel Saluzzese, con la nascita di prodotti e soluzioni pensati per i bisogni reali e concreti di famiglie, imprese, giovani, investitori.
Oggi Banco Azzoaglio è giunto alla quarta generazione, sotto la guida di Erica e Simone che hanno inaugurato la prima filiale torinese. Erica Azzoaglio è presidente del Consiglio di Amministrazione e fondatrice della Azzoaglio Best Education Società Benefit, attiva nel campo dell’educazione paritaria.
In che modo l’inclusione entra nella responsabilità sociale del Banco?
Prima di tutto proviamo ogni giorno a realizzare l’inclusione al nostro interno, dando forza a uno stile di governance che la possa declinare in modo operativo. Sono infatti la nostra regolamentazione interna e le nostre policy che garantiscono un pari accesso alle opportunità di lavoro a tutti. Mentre sono sempre più numerosi i progetti che hanno lo scopo di accrescere l’inclusione e la coesione sociale, dalla formazione digitale rivolta a donne extracomunitarie per la gestione della cittadinanza attiva, a progetti di formazione per i componenti delle comunità che sul territorio si occupano di persone fragili, in situazioni di disagio ed esclusione. Sono tutti progetti non solo finanziati, ma anche realizzati dal nostro istituto.
Infine, sono sempre più numerose le partnership con realtà che si occupano di malattie invalidanti. Non si limitano o a volte non prevedono elargizioni in denaro, ma ci vedono impegnati in prima linea nella realizzazione di iniziative di fundraising, di comunicazione e di supporto concreto alle attività. Cito, ad esempio, l’iniziativa “Io ci sono” che propone una corsa in bicicletta da Ceva, sede della banca, a Roma a favore dell’AISM, l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, per la quale le nostre filiali già fungono da punti vendita per le diverse iniziative che si succedono durante tutto l’anno.
Tutte le nostre policy di approvvigionamento, di gestione degli eventi e di sponsorizzazione sono state riscritte in modo da incorporare i nostri principi di inclusione.
Visti dal suo osservatorio personale e professionale quali sono oggi i nuovi bisogni di inclusione a cui la comunità di Torino, e non solo, deve rispondere?
Torino è stata sempre un laboratorio sociale, volente o nolente. In ogni periodo della storia recente del Paese è stata protagonista di movimenti, disagi, forti contrapposizioni, amalgami difficili da sintetizzare, ma lo ha sempre fatto con il suo stile ‘sabaudo’. Questo significa che ha lavorato moltissimo, molto più di altre città, a favore dell’inclusione e per essere una città europea sotto molti profili.
Questo lo dobbiamo soprattutto alla popolazione universitaria che la anima, la vive, la trasforma e ha sempre fatto da humus per il cambiamento. A volte si parla di mancanza di identità, e un po’ è vero se si paragona ad altre città italiane che prosperano o sopravvivono anche grazie una forte spinta identitaria. L’identità di Torino è formata da chi la vive, da chi la abita, da chi ci lavora e studia.
I bisogni di inclusione che dovrebbero essere presi in considerazione forse sono quelli che meno fanno notizia: penso ai giovani e i giovanissimi disillusi e distaccati, confinati in una dimensione in cui stentano a immaginarsi un futuro desiderabile, e alla popolazione anziana, che avrebbe molto da dare ma spesso viene considerata come un peso per la società. L’ isolamento causato dalla pandemia ha certamente esasperato questi problemi. Abbiamo messo distanza tra le persone: un metro, due metri, uno schermo, tanti schermi, un delivery che ti consente di avere tutto senza uscire di casa. Torino forse ha bisogno di ricreare “cortili” in cui tutte le generazioni stiano insieme in modo spontaneo.
Cosa serve oggi per combattere fragilità, povertà e incertezze? In che modo una società può essere più coesa e competitiva per combattere le disuguaglianze?
Cultura, istruzione, educazione. Spesso le persone in condizioni di disagio si autoescludono. Abituate a essere isolate, disilluse, non cercano soluzioni perché, spesso, non hanno gli strumenti personali per cercarle. Una società è coesa e combatte le disuguaglianze se ha gli strumenti per farlo, se ognuno fa la sua parte. Per me, la via maestra è rappresentata dalla scuola, dall’istruzione e dalle occasioni di formazione continua per tutti, a qualsiasi età. Ognuno deve essere confidente di vivere in una società che non lascia indietro nessuno, che offre a tutti gli strumenti per ricercare la propria strada e dare il proprio contributo alla crescita della comunità in cui vive.
Ne sono così convinta che, grazie alla nostra banca, nel 2021 mi sono fatta promotrice della creazione di una scuola, l’Istituto Archè di Mondovì Scuola Secondaria di Primo Grado Paritaria con l’obiettivo di contribuire concretamente alla crescita di giovani, che diventeranno, così, adulti consapevoli e attenti al mondo che li circonda, pronti alle sfide della vita. È un progetto a cui tengo molto e che spero di ampliare. L’obiettivo è quello di fornire ai bambini e ai ragazzi, esaltando le peculiarità e le predisposizioni di ognuno, quegli strumenti che permetteranno loro di essere domani degli adulti consapevoli e in grado di vivere in modo sereno, inclusivo e costruttivo per la loro vita.