“Fondazioni ed enti filantropici, per la loro autonomia, indipendenza economica, flessibilità e visione di lungo termine, possono giocare un ruolo fondamentale nella ricerca di soluzioni permanenti in processi di inclusione ed eliminazione
delle disuguaglianze”
Avvocato specializzato in diritti umani, Carola Carazzone è Segretario Generale di Assifero, l’Associazione Italiana delle Fondazioni ed Enti Filantropici dal 2014 e vice presidente di Philea – Philanthropy Europe Association, organizzazione nata a dicembre 2021 dalla fusione tra Dafne – Donors and Foundations Networks in Europe, di cui Carola è stata la prima donna italiana Presidente e EFC (European Foundation Centre), che abbraccia oggi 33 Paesi e oltre 10.000 fondazioni ed enti filantropici. È membro di prestigiose realtà che si occupano di filantropia.
Come agisce oggi la filantropia italiana rispetto all’inclusione dei soggetti più deboli della società?
Con filantropia, in particolare filantropia strategica, si intende la messa a disposizione di diversi tipi di capitale, finanziario ma anche non finanziario – conoscenze, relazioni, beni immobiliari e di altro tipo (il cosiddetto continuum of capital) – per il bene comune. E l’inclusione dei soggetti più deboli, ai margini è sicuramente uno dei punti focali della missione e l’attività di molte fondazioni. Dal nostro osservatorio, vediamo esperienze che possono essere davvero molto diverse tra loro. Penso alle fondazioni e agli enti filantropici che si impegnano direttamente nel progettare risposte all’esclusione sociale, ma anche agli enti che sostengono la crescita e l’iniziativa degli Ets che lavorano per l’inclusione. Penso alle fondazioni di comunità, che progettano risposte ai bisogni e desideri della comunità, insieme alla comunità stessa, con un approccio di sostegno e sviluppo personalizzato a tutto tondo.
Ma avvicinandoci al Piemonte e a Torino, dove la Fondazione Educatorio della Provvidenza opera, tra le fondazioni di famiglia abbiamo, ad esempio, Fondazione Paideia, che si impegna quotidianamente per aiutare i bambini con disabilità e le loro famiglie, perché nessuna famiglia possa sentirsi sola e nessun bambino escluso, a partire dai principi del Family Center Care Approach, e Fondazione Time2, che lavora per l’inclusione dei bambini con disabilità attraverso lo sport. Se penso, invece, a enti filantropici secolari che lavorano in questa direzione, non posso non citare l’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo, che sostiene individualmente le persone che vivono una situazione di difficoltà e che vogliono costruire un futuro migliore per loro stessi e per i loro famigliari, o l’Opera Barolo, che con il Distretto Sociale Barolo ha creato un vero e proprio ecosistema di accoglienza e supporto agli individui e le realtà locali.
Con quali modalità e iniziative Assifero è impegnata nel contrasto ai bisogni di inclusione?
Nella convinzione che per rispondere a sfide complesse come quella dell’inclusione sia necessario un approccio integrato, Assifero lavora per aumentare sempre più le alleanze, anche inusuali, e adottare un approccio sistemico, superando modelli lineari a silos o a bolla. Fondazioni ed enti filantropici, per la loro autonomia, indipendenza economica, flessibilità e visione di lungo termine, possono giocare un ruolo fondamentale nella ricerca di soluzioni permanenti in processi di inclusione ed eliminazione delle disuguaglianze. Ma questo può succedere solo se non agiscono in modo isolato, ma riescono a promuovere collaborazioni più ampie, portare al tavolo i diversi attori dell’ecosistema necessari per lo sviluppo di idee e soluzioni sistemiche condivise che affrontino alla radice l’esclusione sociale.
Come associazione nazionale, ci impegniamo quindi per creare spazi di condivisione e confronto, per aumentare la circolarità di informazioni, di buone pratiche e di approcci innovativi. Creiamo ponti tra realtà e mondi diversi tra loro. Raccontiamo ciò che fondazioni ed enti filantropici italiani fanno per lo sviluppo sostenibile, mettendo in connessione la dimensione nazionale con quella europea e globale. Tutto questo per aumentare l’impatto collettivo del sistema filantropico del nostro Paese.
Visti dal suo osservatorio personale e professionale, quali sono oggi i bisogni di inclusione a cui la comunità di Torino (e non solo) deve rispondere?
Torino è una città con una forte eredità industriale, che ha vissuto a lungo grandi sperequazioni, migrazioni interne e disuguaglianze. In particolare penso al grande bisogno di ricostruzione di un tessuto sociale coeso e al lavoro della Fondazione di comunità Mirafiori che negli ultimi dieci anni ha veramente investito per includere, a partire dalle portinerie di comunità, il rafforzamento della rete economica di prossimità, il contrasto alla povertà educativa, l’ampliamento della offerta culturale, gli orti sociali realizzati nel parco di una villa abbandonata. Un’azione che sta coinvolgendo un’intera comunità nel miglioramento dell’ex quartiere operaio dal punto di vista ambientale e sociale. Ma penso anche alla Fondazione di Comunità di Porta Palazzo nata nel 2020 che, nella culla del mercato multietnico più grande d’Europa, accoglie la grande sfida di una cittadinanza piena e consapevole e sta coinvolgendo una comunità composita di centoquaranta nazionalità in un processo di progettazione partecipata volto alla riapertura del Giardino Pellegrino, che è tornato a essere un bene comune e luogo di gioco e incontro.
Cosa serve oggi per combattere fragilità, povertà e incertezze? In che modo una società può essere più coesa e competitiva per combattere le disuguaglianze?
La complessità delle sfide che ci troviamo ad affrontare non lascia più spazio agli individualismi e rafforza la necessità di ecosistemi dinamici, di corpi intermedi resilienti e di alleanze, anche inusuali, a tutti i livelli.
In un’era così fortemente globalizzata e interconnessa, come quella che stiamo vivendo, è necessario accogliere la complessità con nuovi approcci più sistemici e strumenti operativi più flessibili, più abilitanti e meno pianificanti. Per le fondazioni ed enti filantropici, questo significa oltrepassare il modello lineare di finanziamenti vincolati a progetti di breve periodo, con liste di attività e micro-output, per arrivare, invece, a investire in processi di supporto e sostegno delle organizzazioni e degli individui, processi flessibili e di lungo termine, con relazioni che mettano al centro la fiducia e un approccio collaborativo.
Bisogna accogliere la complessità delle sfide che abbiamo di fronte, capire come esse si leghino tra di loro e forgiare alleanze, anche inusuali, per trovare soluzioni trasformative che vadano alla radice dei problemi.