“Quando si pratica uno sport non contano il colore della pelle, la religione o le disabilità. Quando giochi, alle disuguaglianze non ci pensi più.
Lo sport è uguaglianza”
Lo sport come motore di uguaglianza, di fronte al colore della pelle come di fronte a ogni tipologia di abilità. E il motore anche di Alessandro Ossola, finalista nei 100 metri alle Paralimpiadi di Tokyo 2020. Oltre che fondatore dell’associazione Bionic People che ha come obiettivo quello di aiutare disabili e normodotati a non arrendersi mai e a cambiare l’idea che le persone hanno sulla disabilità. Alessandro ha dato vita anche a un movimento legato al Padel Inclusivo con lo scopo di dimostrare che l’inclusione anche nello sport è possibile organizzando tornei con coppie composte da un disabile e un normodotato.
Cosa significa per lei il termine inclusione?
Fare parte di qualcosa. Che può essere un gruppo di persone attorno a te oppure un gruppo più ampio. L’inclusione non è un atteggiamento che si deve mettere in campo di tanto in tanto ma è un vero e proprio percorso che occorre prima cominciare e poi continuare a intraprendere.
In che modo lo sport può combattere le disuguaglianze della nostra società?
Quando si pratica uno sport non contano il colore della pelle o la disabilità, conta solo lo sport. Quando giochi, alle disuguaglianze non ci pensi più.
Quali sono i suoi progetti futuri?
A livello personale, l’obiettivo è quello di sposarmi e avere dei figli. Dal punto di vista sportivo, ho invece davanti a me il Mondiale di Parigi e, sempre a Parigi, la Paralimpiade nel 2024, l’ultimo appuntamento di questo genere a cui prenderò parte. Non ho, però, intenzione di fermarmi qua perché, successivamente, punterò forte sul padel, che abbiamo provato essere lo sport più inclusivo in assoluto. Vogliamo, quindi, concentrare i nostri sforzi in questo ambito e cercare di portare valore al progetto che abbiamo creato, ossia l’Inclusive Padel Tour, cercando di esportarlo all’estero.
Ci parla di Bionic People?
Bionic People ha l’obiettivo di cambiare l’occhio con cui le persone guardano la disabilità e le persone con disabilità. È un progetto ambizioso perché non è facile sradicare i pregiudizi da ognuno di noi, però penso che serva e sia necessario, e credo fortemente in quello che stiamo facendo per cercare di cambiare l’immaginario attorno alla persona con disabilità. E mostrare come, anche con una disabilità, si possa vivere una vita soddisfacente.
Dal suo osservatorio personale e professionale, quali sono i nuovi bisogni a cui la città di Torino deve rispondere?
Penso che Torino sia una città moderna, uno dei punti di riferimento a livello europeo: sicuramente c’è ancora del lavoro da fare ma è proprio questo il bello. Quindi occorre alzare l’asticella per rendere la città, ma più in generale il paese, sempre più inclusivo.