L’Educatorio oggi si pone come spazio inclusivo per la promozione e la diffusione culturale nella lotta alla povertà educativa, e risponde a necessità di prevenzione e contrasto al disagio giovanile e dei soggetti fragili, attraverso interventi innovativi, formativi che promuovono il benessere, il rafforzamento dei fattori protettivi e delle competenze.
Questi interventi ad oggi attuati, sono riconducibili a una modalità di approccio che è costante nel tempo nelle azioni elaborate e proposte dall’Educatorio, e che sono il risultato della sua essenza filantropica, espressa nelle diverse epoche storiche, attraverso l’elaborazione di paradigmi.
La lunga e articolata storia dell’Educatorio, letta e analizzata alla luce di teorie più generali, elevando i fatti storici dalla pura elencazione attraverso una verifica empirica qualitativa, delinea come abbia attraversato tre fasi evolutive, ognuna delle quali è partita da una fase embrionale per svilupparsi e modificarsi lasciando il passo alla fase successiva ma mantenendone il germe originale di cui conserva le tracce, e come abbia attuato i suoi interventi attraverso paradigmi specifici che sono la declinazione, trasversale attraverso le epoche attraversate, di un paradigma centrale.
Le tre fasi sono:
I fase: Ricovero / Laboratorio 1722-1850
L’Educatorio nasce nel 1722 come luogo di accoglienza per bambine e giovani donne offrendo un’educazione morale e civile, una alfabetizzazione di base e insegnando l’arte del ricamo e del cucito. Le abilità acquisite dalle ragazze servivano ad ampliare il proprio bagaglio di competenze ed era la miglior garanzia per potersi integrare ed essere incluse nel tessuto sociale dell’epoca.
In questa prima fase, l’alfabetizzazione, elemento precluso alle fasce medio-basse della popolazione e soprattutto alle donne, assume sempre più importanza fino a diventare centrale e determinare la trasformazione in Istituzione scolastica femminile.
II fase: Scuola 1850-1990
Nella seconda fase, continuando la sua funzione caritativa accogliendo gratuitamente le fanciulle più disagiate, la sua azione socio-educativa si focalizza sulla promozione delle capacità intellettive, offrendo quindi maggiori opportunità di sviluppo personale raggiungibile attraverso la possibilità di trovare un lavoro dignitoso e la partecipazione attiva alla vita attraverso una posizione ufficialmente riconosciuta.
III fase: Ente benefico 1999-2023
Questa nuova fase che inizia con la trasformazione prima in Ipab, poi in Fondazione ed infine in Ente del Terzo Settore, apparentemente slegata dalle fasi precedenti, vede l’Educatorio occuparsi di altri soggetti deboli che non sono più principalmente le giovani donne, ma anche soggetti di genere maschile che presentano condizioni di disagio o di rischio di rilevanti fragilità.
Mettendo in relazione le attività benefiche realizzate dall’Educatorio nelle tre fasi storiche e leggendole attraverso la Teoria di Medio Raggio di Merton, quindi analizzando i dati empirici alla luce delle teorie più generali, emergono gli aspetti fondanti e sostanziali delle attività filantropiche che ha elaborato e messo in campo per affrontare le sfide sociali di cui si è occupata e determinare un cambiamento.
Le tre attività filantropiche che l’Ente ha messo in campo per far fronte ai problemi che doveva gestire sono: “Educazione”, “Miglioramento delle competenze”, “Prevenzione delle devianze/inclusione dei soggetti fragili”, che sono i paradigmi che esprimono la personale modalità di intervento messa in atto per ottenere un cambiamento sociale.
L’azione filantropica dell’Ente si manifesta, sia nella prima che nella seconda fase attraverso il paradigma dell’“educazione”, declinata al femminile; attraverso questa, dava alle ragazze la possibilità di riscattarsi dall’emarginazione sociale e dalla povertà e di poter determinare esse stesse il proprio destino. Era già una “capacitazione” ante litteram che emerge nel momento in cui le fanciulle ospitate, per quanto fossero disagiate dal punto di vista sociale, economico e di relazione, quando vengono accolte nella struttura, vengono percepite come capaci di un miglioramento, vengono offerte loro delle opportunità, e sono in grado di acquisire competenze e di compiere delle scelte.
Nella fase “Scuola” la filantropia si svilupperà fino a diventare istruzione e formazione professionale, diventando veicolo di sviluppo personale e di emancipazione. In entrambi i casi vediamo come la teoria di A. Sen sul ruolo dell’educazione nella teoria del Capabilities Approach sia assolutamente calzante: “la sfera educativa è la culla della scoperta e della costruzione di senso” l’ambiente scolastico in quanto capace di offrire opportunità alle persone, garantisce alle fanciulle di potersi autodeterminarsi 1 .
Mentre il secondo veicolo filantropico comune tra la fase “Ricovero/Laboratorio” ed “Ente benefico” è il “miglioramento delle competenze”, l’azione è il sia rispetto alle giovani studentesse che, pur non necessitando più di una assistenza primaria che permettesse loro di non incorrere in situazioni di emarginazione e devianza, potevano focalizzarsi sulla promozione delle loro capacità, acquisendo sempre nuovi strumenti per esprimere al meglio se stesse. Ma lo è anche, soprattutto, per gli adolescenti e i soggetti fragili che per difficoltà di accesso a beni e servizi, o per disabilità o fragilità personali, non potrebbero mettere in atto fattori di protezione rispetto la complessità e ai pericoli della moderna società. Rendere, quindi, questi soggetti in grado di sviluppare le proprie capacità interne, intellettive ed emotive per mettere in atto scelte strategiche, che assieme alle opportunità sociali ed economiche che si vogliono offrire, li mettano in grado di realizzare le capacità combinate che Sen definisce libertà sostanziali, ovvero libertà di fare quello che si sceglie.
L’ulteriore elemento filantropico messo in atto è la “Prevenzione delle devianze e l’inclusione dei soggetti fragili”, ovvero la prevenzione delle devianze che si ottiene con l’inclusione dei soggetti fragili.
Abbiamo visto come nella prima fase di “Ricovero / Laboratorio” le donne, di qualsiasi estrazione sociale, in determinate situazioni contingenti della loro vita, non potendo provvedere a sé stesse e rischiassero di confluire in situazioni di devianza femminile, l’accoglierle e includerle in contesti protetti oltretutto dando la possibilità di riscattarsi socialmente attraverso l’insegnamento di un mestiere, fosse un’ azione che aveva un impatto significativo e potenzialmente risolutivo per i soggetti assistiti e potenziale strumento per incidere sul miglioramento sociale.
Anche nella terza fase “Ente benefico”, agire sul contrasto e sulla prevenzione del disagio di giovani ed adolescenti e di soggetti fragili, includendoli in contesti adeguati, significa lavorare in modo preventivo evitando l’incorrere di devianze sociali, come, a titolo esemplificativo, isolamento sociale, dipendenze da sostanze o comportamenti, sviluppo e manifestazione di psicosi. Queste tre azioni filantropiche sono la manifestazione e declinazione in interventi specifici, e trasversali nelle diverse epoche, di un unico paradigma filantropico l’“Accrescimento di saperi, di competenze, di strumenti culturali e strategici” .
L’azione filantropica dell’Educatorio agisce nei periodi storici della sua evoluzione, attraverso i tre paradigmi che abbiamo appena discusso e che sono generati da un paradigma centrale che è l’elemento costante e trasversale che nelle diverse epoche si è declinato con interventi specifici e continuerà ad essere il motore delle azioni che saranno messe in campo per rispondere alle esigenze sociali che affronterà senza perdere però il suo peculiare approccio al problema che è la manifestazione della sua essenza.
Conclusioni
L’evoluzione dell’Educatorio della Provvidenza, dalle origini fino all’attuale nuova strutturazione in Fondazione, rende palese che la sua azione ha agito nel tempo secondo un paradigma che, riadattandone col passare dei decenni le caratteristiche e l’agire filantropico, ne ha mantenuto la struttura di base e la modalità di gestione delle attività.
Il paradigma prevedeva – e prevede oggi – di prendersi cura dei soggetti più deboli mediante “l’educazione”, “il miglioramento delle competenze” e “la prevenzione delle devianze e l’inclusione dei soggetti fragili”, per fornire opportunità di occupazione e favorirne l’inclusione sociale.
Così, se alla nascita dell’Ente sono state le ragazze povere a essere ospitate e sostenute, oggi il paradigma originario attualizza la filantropia in base ai cambiamenti che le condizioni economiche, sociali, culturali propongono per continuare l’attività della Fondazione, favorendo l’inclusione sociale dei soggetti deboli, tenendo conto della soggettività delle persone e delle le loro “capacitazioni”, secondo la definizione di A. Sen, per renderli protagonisti dei percorsi di inclusione.
Considerando l’evoluzione dei diversi paradigmi che hanno orientato l’azione dell’Educatorio, si può affermare che l’Ente ha avuto, ha, e avrà in futuro una sorta di sequenza di DNA, costituita “dall’accrescimento di saperi, di competenze, di strumenti culturali e strategici”, perpetuato e costante nel tempo, ma comunque sempre modulato secondo le caratteristiche delle diverse epoche storiche attraversate, che ne ha uniformato, ne uniforma oggi e continuerà domani a definirne la struttura e l’azione.