“Chiediamo a tutti un impegno maggiore che abbia come obiettivo quello di offrire un’assistenza basata il più possibile sui bisogni individuali della persona
a cui ci si rivolge, e non su gruppi, genericamente intesi”
Presidente del Forum Italiano sulla Disabilità (F.I.D.), che comprende le organizzazioni e federazioni rappresentative delle persone con disabilità e delle famiglie che si battono per la tutela dei diritti di chi vive in condizione di disabilità, Vincenzo Zoccano è componente della Direzione Nazionale dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. Ha anche ricoperto l’incarico di Vice Ministro alla Famiglia e alla Disabilità.
Cosa significa per lei il termine inclusione?
Esistono una infinità di definizioni del termine inclusione, ma finché non ci concentriamo su un metodo scientifico standardizzato d’analisi non potremo risolvere il problema, con il risultato che non si concretizzano né l’inclusione né l’integrazione. Sarebbe necessaria una definizione epistemologica che renda chiaro cosa significa il concetto di inclusione per tutti i soggetti che se ne occupano. Ci deve essere un sistema validabile, replicabile e validato da parte della comunità scientifica che porti a un trattamento standardizzato del concetto di inclusione. Tutti abbiamo la nostra idea, anche assolutamente encomiabile, di inclusione, ma questa idea si deve concretizzare in risultati. Ecco perché stiamo parlando ancora di inclusione e non di integrazione.
Quali sono i nuovi bisogni e i nuovi soggetti sociali che necessitano maggiormente di inclusione?
Il presupposto fondamentale per ogni ragionamento è che tutti abbiamo dei bisogni, al di là della situazione privata, economica e culturale individuale. Ogni persona, in quanto tale, esprime bisogni.
Ovviamente, le persone che vivono situazioni a rischio di impoverimento e quindi di emarginazione sociale ne hanno di più. La disabilità è una di queste. Purtroppo, la politica e la società non investono su queste persone. Spendono fondi, magari, ma non li investono realmente. Questo è il problema: perché sappiamo tutti che un investimento porta sempre un ritorno. Ad oggi, sulla disabilità lavora solo il volontariato, di cui conosciamo le potenzialità, ma anche i limiti.
Come strutturare allora risposte che siano concrete e sistemiche?
In primo luogo, dobbiamo riuscire ad arrivare a un trattamento e a un’analisi dei dati reali, senza ragionare soltanto su semplici stime. Poi dobbiamo basarci sull’individualità delle persone. Solo così lo sforzo, anche economico, può portare all’investimento. Questo significa mettere a disposizione della persona proprio quel servizio, quella prestazione, quel tipo di formazione che sia tarato specificamente per lei. Noi chiediamo un impegno maggiore, che abbia come obiettivo ultimo quello di offrire un’assistenza basata il più possibile sull’individualità della persona a cui ci si rivolge, e non su gruppi, genericamente intesi.
Quali potrebbero essere gli interventi sistemici capaci di creare una società più coesa e più attenta contro le disuguaglianze e le discriminazioni?
Innanzitutto, è necessario che i soggetti che si occupano di queste materie siano professionisti con alle spalle un percorso formativo. Occorre poi creare un sistema di certificazioni e di standard che aiutino questi professionisti a misurare processi e bisogni, in relazione alle situazioni che devono affrontare. Infine, si deve costruire un sistema di stakeholder, che abbiano anch’essi una adeguata formazione, perché spesso ci dimentichiamo che anche la politica ha bisogno di formazione.
Il sistema va quindi costruito, da un lato, su una adeguata certificazione standard, riconosciuta da tutti, dall’altro sulla costruzione di un gruppo che mette insieme gli stakeholder comparativamente più rappresentativi. I soggetti vanno accreditati secondo regole che questo sistema deve darsi. E devono essere regole certe.