“Quando inserisci una persona con disabilità nel ciclo produttivo, quest’ultima deve essere posta nella condizione di esprimersi al meglio. Modificare i processi lavorativi diventa un’opportunità che ha un impatto positivo su tutti e migliora la reputazione e la competitività delle aziende”
Nata da un’idea di Petru Capatina, moldavo e Paolo Bottiglieri, torinese, due giovani che si sono conosciuti sui banchi dell’università, WeGlad è un’app innovativa che mappa le barriere architettoniche per favorire la circolazione delle persone con difficoltà motorie. Il nome è una contrazione di “Welcome Gladiator”, perché le persone con disabilità, come i gladiatori dell’antica Roma, sono costretti ad affrontare una battaglia che non vogliono combattere: quella con le barriere architettoniche. Eppure sono costretti a farlo ogni giorno. Ogni giorno, uguale agli altri.
Ne parliamo con il suo Presidente, Riccardo Taverna, consulente di sostenibilità sociale e ambientale: “Non è un caso che WeGlad sia una realtà torinese. Torino è infatti una città che più di altre ha dimostrato di essere particolarmente attenta alle problematiche delle cosiddette categorie fragili e a riconoscere il vantaggio competitivo dell’inclusione”.
Cosa significa per lei il termine inclusione?
L’inclusione sociale è quella condizione in cui ogni individuo vive in uno stato di equità e di pari opportunità. In Italia l’inclusione è purtroppo ancora agli albori. Ci sono società che hanno dei profili di eccellenza ma quando vado a visitare un’azienda che si dichiara inclusiva faccio sempre un piccolo test: cerco le persone con disabilità.
E non le trovo. Non si vedono.
Spesso il processo di inclusione è ancora invisibile perché i suoi destinatari non vengono ancora visti quali sono in realtà: persone che, seppur con disabilità, hanno dei talenti unici che sono in grado di contribuire a creare valore competitivo e offrono delle opportunità che altrimenti le aziende non coglierebbero. Quando inserisci una persona con disabilità nel ciclo produttivo, quest’ultima deve essere posta nella condizione di esprimersi al meglio. Modificare i processi lavorativi favorendo un processo reale di inclusione è quindi un’opportunità che rinnova i processi dell’ufficio rendendoli più efficienti.
Lei è una persona con disabilità: le è mai accaduto di sentirsi escluso per questo?
È successo alcune volte. Ad esempio, mi è capitato di fare una serie di colloqui per una grande agenzia italiana di comunicazione, al termine dei quali, nonostante figurassi come uno dei candidati per loro di maggior interesse, sono stato escluso non appena è emersa – di fronte all’amministratore delegato – la mia condizione di disabilità. In quell’epoca ero agli esordi della mia malattia neurologica degenerativa. Ero in una condizione che non avrebbe inciso in alcun modo sulla mia capacità lavorativa e che ero in grado di nascondere molto facilmente. Ho preferito invece essere onesto e trasparente fin dall’inizio, e il risultato che ho ottenuto è stata l’esclusione. Come contraltare di questo episodio, accaduto quasi nello stesso periodo, una multinazionale americana mi ha nominato responsabile delle relazioni esterne. Quando durante il colloquio con l’amministratore delegato raccontai dei miei problemi questo mi interruppe quasi brutalmente e mi disse: “Riccardo, ti stiamo scegliendo per la tua testa, non per le tue mani”.
Secondo il suo punto di vista, l’Italia ha una tendenza maggiore all’inclusione o all’esclusione?
Il nostro è un Paese che tende purtroppo all’esclusione. Quello che manca a chi dovrebbe avere il compito di includere è il desiderio di entrare in contatto con l’altro, il diverso, che sia disabile, emigrante o profugo, non importa. Manca l’umanità, cioè il riconoscersi come uguale alla persona con cui si sta parlando, in modo tale da percepire non solo le parole ma anche i sentimenti, le capacità reali, le opportunità reciproche. L’incontro è il primo tassello di un reale processo di inclusione. Ci vuole, però, una grande capacità d’ascolto. Ascoltare, soprattutto in azienda, sta diventando sempre più difficile. Eppure per avere successo in una relazione di lavoro bisogna mettersi prima di tutto nelle condizioni di ricevere tutte le informazioni nella maniera più chiara e realistica possibile, così da poter rispondere all’interlocutore in modo concreto. L’inclusione è un dovere, non un obbligo. Personalmente aggiungo che si tratta di una straordinaria opportunità.
La parte pubblica dell’inclusione è delegata ai cosiddetti servizi sociali. Questa definizione non sembra già contraddire l’inclusione all’interno di una comunità?
Sì, perché dovremmo essere tutti donne e uomini capaci di essere socialmente utili. Nessuno escluso. La corretta semantica delle parole spesso nasconde volontà poco raccontabili. Le parole non solo sono importanti, ma spesso dicono la verità. Oggi, in Italia, i servizi sociali per quanto riguarda l’inclusione lavorativa sono molto deficitari.
Che azioni svolge WeGlad a vantaggio dell’inclusione e a favore di una società più coesa?
Uno dei grandi problemi che hanno le persone con disabilità sono le barriere architettoniche che dovrebbero essere mappate per essere individuate nei percorsi e segnalate. WeGlad nasce per questo motivo: rendere migliore la vita alle persone con ridotta mobilità, indicando dove si trovano gli ostacoli da superare e il percorso che possono fare per affrontarli, evitarli o superarli. Lavoriamo coinvolgendo le aziende, i loro dipendenti e tutti i cittadini, con i quali mappiamo il territorio grazie alla nostra app, tenendo conto anche delle funzioni sociali che tale attività può avere. Permettere a tutti di vedere gli ostacoli significa comprendere che molte persone non potranno superarli. Un ostacolo alla mobilità è una forma di esclusione e, vorrei dirlo con chiarezza, anche di ingiustizia.
A cosa è dovuto, secondo lei, il grande successo di WeGlad?
Sicuramente all’entusiasmo e alla grande competenza che sta alla base del progetto. Due cose sono state fondamentali per la sua crescita. La prima è l’utilità concreta: tutti gli spazi critici rilevati con la mappatura vengono immediatamente segnalati alle municipalità che possono intervenire per risolverli. In secondo luogo, il fatturato di WeGlad viene restituito in parte al territorio fornendo così risorse preziose per la comunità. La coesione è alla base di ogni processo competitivo di inclusione.
Il nostro scopo ultimo è quello di “ristrutturare l’umanità grazie all’inclusione”. Oggi, chiunque ha l’opportunità di fare una buona azione. Scarica la nostra app. Lo fa gratuitamente e, quando si trova di fronte a una barriera architettonica, estrae lo smartphone, scatta una foto, la geolocalizza e la manda su mappa visibile in tempo reale a chiunque sia collegato. Un piccolo gesto che può aiutare a cambiare il mondo.
Un piccolo gesto utile anche per tutti noi, perché un giorno saremo anziani e avremo problemi di mobilità e spesso una barriera architettonica è un ostacolo insormontabile. Noi facciamo in modo che questo non accada più.